Dall'Aeterni Patris alla crisi modernista (1879-1910)

Condividi:
Miguel Coll, S.I. | Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa

di Miguel Coll, S.I.

Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa

Dopo i primi nove episodi dedicati alla storia del Collegio Romano
dai primi passi (1531) all’incamerazione dal nascente Stato italiano (1873),
riprende la rubrica
"Da ieri a oggi" che narrerà la storia
dell’istituzione erede, la Pontificia Università Gregoriana, tratteggiandone
temi e volti tra la fine del XIX secolo e il XX secolo.

Dopo che lo Stato italiano aveva incamerato l’edificio del Collegio Romano (1873) e le opere annesse – la grandiosa Biblioteca, il gabinetto scientifico, il museo Kircheriano, l’Osservatorio astronomico – e li aveva convertiti in istituzioni pubbliche, l’istituto trovò ospitalità presso il palazzo Borromeo in via del Seminario. In questo modo fu ricostituito nella forma originaria. Pio IX, con rescritto del 4 dicembre 1873, permise al Collegio di assumere il titolo di Pontificia Università Gregoriana del Collegio Romano, sopprimendo però le scuole letterarie, e limitando l’insegnamento alle sole teologia e filosofia. Nel 1878 il numero degli studenti si ridusse a circa 400 in ragione delle tasse punitive imposte dalle autorità italiane.

Tuttavia, prima del trasloco all’attuale sede di Piazza della Pilotta (1930), stavano per verificarsi alcuni sviluppi molto importanti. Faremo riferimento principalmente a due soggetti le cui conseguenze interessano la Chiesa: la restaurazione del tomismo e la condanna del modernismo.

 

Gli sviluppi del neotomismo: dall’unità dottrinale all’uniformità

Già durante il suo rettorato [1824-29], Luigi Taparelli d’Azeglio si batté per la reintroduzione del tomismo, ma il successo fu molto limitato. Anche il futuro cardinale Newman, al suo arrivo a Roma (1847), manifestò la sorpresa per la scarsa attenzione che gli si rendeva. Matteo Liberatore (1810-92)[1], come scrittore de La Civiltà Cattolica, fu in prima linea nella rinascita del tomismo; promosse il pensiero di san Tommaso nelle scuole cattoliche in un periodo in cui l’insegnamento nei seminari e negli studentati religiosi era orientato prevalentemente all’idealismo.

Leone XIII, poco dopo la sua elezione (20 febbraio 1878), chiese alla Gregoriana di rilanciare gli studi tomistici. Il 28 novembre ne ricevette il corpo accademico presieduto dal rettore Ugo Molza, a cui espresse la sua fiducia nell’avvenire dell’istituzione, il cui prestigio era ormai accreditato e che, per sua volontà, sarebbe stato il primo degli istituti cattolici ad avviare il neotomismo. La rinascita della Scolastica si fece strada e raggiunse il punto di maturità nel pontificato con l’enciclica Aeterni Patris (4 agosto 1979), la cui stesura si dovette in parte al P. Liberatore.

Il Pontefice stesso dispose che la direzione degli studi fosse affidata a Joseph Kleutgen, ma fu breve per ragioni di salute. Lo sostituì Camillo Mazzella: venuto a Roma da Jersey, fu professore di teologia dogmatica dal 1879 e prefetto degli studi (1880-‘86) fino alla nomina cardinalizia. Della sollecitudine con cui la Gregoriana aveva risposto alle richieste papali, Leone XIII diede pubblica attestazione nel breve Gravissime nos (30 dicembre 1892)[2].

A causa della scelta dottrinale fondata nell’Aquinate, diversi professori della Gregoriana dovettero lasciare le cattedre a docenti giunti dall’estero e, per la prima volta dalla restaurazione della Compagnia (1814), il corpo docente dell’università assunse un carattere internazionale. Così Juan J. Urráburu, trasferitosi dalla Spagna per sostituire l’eclettico Salvatore Tongiorgi come decano di Filosofia, divenne un prolifico scrittore e commentatore di san Tommaso. Domenico Palmieri e Alessandro Care furono sostituiti da tomisti ortodossi. Un tomista altrettanto entusiasta era Louis Billot, chiamato dallo stesso Leone XIII dal Teologato di Jersey, per promuovere gli studi tomisti a Roma. Giunto in Gregoriana nel 1885, ne occupò la cattedra di Teologia dogmatica fino al 1910, un anno prima della sua nomina cardinalizia. Teologo di grande penetrazione metafisica, Billot abbandonava altri glossatori dell’Aquinate allorché li trovava in disaccordo con quello che egli credeva il pensiero di san Tommaso, attingendo inoltra da sant’Agostino e Bossuet. I suoi testi dogmatici (De TrinitateDe Verbo incarnatoDe Eucharestia) furono molto apprezzati dai suoi allievi, tra cui Eugenio Pacelli – il futuro papa Pio XII – ed Emmanuel Suhard, cardinale arcivescovo di Parigi (1940-‘49). Un altro centro di diffusione divenne inoltre palazzo Borromeo, dove erano impartite lezioni della Pontificia Accademia di San Tommaso dal gesuita Guido Mattiusi.

Prima della fine del secolo, dai 415 studenti iscritti nel 1880 si oltrepassò la soglia dei mille. Tra gli studenti erano rappresentate una ventina di nazionalità diverse, e quasi tutte le congregazioni religiose e i seminari di Roma. Dopo gli sconvolgimenti d’inizio Ottocento, la Gregoriana era tornata ad essere un’università internazionale nel cuore della cristianità cattolica. Nell’ultimo decennio del secolo insegnavano filosofia Michele De Maria (prefetto degli studi), Pio De Mandato e Vincenzo Remer, la cui Summa Philosophiae era tra i testi più in voga. Nella Facoltà di Teologia insegnavano Emilio De Augustinis e Felice Pignataro. S’impartiva un tomismo rigoroso e privo di contaminazioni, ma rigido, in modo che gli alunni delle diverse nazionalità fossero istruiti per fronteggiare le correnti della filosofia moderna.

 

Il modernismo cattolico fronteggiato dai gesuiti

Quando l’intransigenza antiliberale venne riorientata (1893) da Leone XIII nel quadro di un progetto di riconquista integrale della società, sostenuto dalla proposta del tomismo come dottrina filosofica di riferimento, le novità intervenute sul piano della dottrina sociale e l’impulso offerto agli studi storici e scientifici favorirono iniziative che sembrarono poter mettere in discussione alcuni principi, come quello relativo all’inconciliabilità fra la Chiesa e il progresso dell’età moderna, solennemente enunciato nel Sillabo.

Il modernismo si manifestò proprio nel momento in cui la politica di libertà di Leone XIII dava nuova ispirazione agli studi ecclesiastici: più che un movimento, fu un approccio al magistero. I suoi promotori furono Alfred Loisy e George Tyrrell. Loisy, insegnante all’Institut Catholique di Parigi fino al 1893, era in disaccordo con la verità immutabile della rivelazione nel Nuovo Testamento. Ne L’Evangile et l’Église (1902) esponeva una teoria che minava l’intero fondamento dogmatico della fede: tutto l’insegnamento era condizionato e limitato dai tempi, compreso il messaggio di Cristo, ovvero non c’è distinzione tra sviluppo e cambiamento. Tyrrell, gesuita e docente nello Scolasticato di Stonyhurst, sostenne in un testo anonimo sul Corriere della sera che il dogma era relativo all’epoca e doveva essere rimodellato da ogni generazione in funzione della medesima.

Alla Gregoriana, Billot fu il principale oppositore del modernismo, che combatté nel De immutabilitate traditionis, dove faceva nuove precisioni sulla tradizione, la regola prossima e remota della fede, il metodo teologico e il progresso dogmatico. Alcune espressioni del giuramento antimodernista (1° settembre 1910) coincidono con quelle adoperate da Billot nella seconda edizione del testo appena citato (1907). Curiosamente, nel corso del contrastato processo avviato a Roma, Loisy trovò un sostenitore in P. Enrico Gismondi, docente di Lingue orientali della Gregoriana (1888-1912),nonché consultore della Pontificia Commissione biblica e dell’Indice.

L’elezione di Pio X (4 agosto 1903) impresse una svolta decisiva al processo censorio romano contro l’opera di Loisy, di cui 5 testi furono messi all’Indice già alla fine del 1903. Papa Sarto aprì un processo coronato con il decreto Lamentabili e l’enciclica Pascendi (8 settembre 1907). Nel primo, il Papa squalificava le opinioni sul valore pratico dei dogmi e l’idea secondo cui l’ecclesia docens dovrebbe conformarsi alle indicazioni provenienti dall’ecclesia discens,nonché la tesi che la rivelazione era proseguita dopo la morte dell’ultimo apostolo. Nella Pascendi sono riconoscibili non solo le idee di Billot, ma anche molti estratti delle sue opere. Al contempo, il Papa ribadì la filosofia scolastica come la base di tutti gli studi sacerdotali[3].

Pio X godette l’appoggio del P. Mattiusi, che incaricò di sostituire Billot alla Gregoriana (1911). Uno degli ultimi documenti firmati da papa Sarto fu Quanta semper cura del 29 giugno 1914: richiamando le disposizioni formulate nel Sacrorum antistitum (1910) contro le dottrine dilaganti, cioè il modernismo, il materialismo, il monismo, e il panteismo, raccomandava lo studio nelle scuole cattoliche e nei seminari della filosofia tomista, che P. Mattiussi avrebbe ridotto in ventiquattro tesi, emanate dalla Congregazione dei Seminari (7 marzo 1916). L’unità dottrinale nella Chiesa e nella Gregoriana ebbe la sua efficacia in un mondo segnato dalle ideologie anti-cristiane, ma la stretta osservanza del tomismo – divenuta uniformità – rallentò indubbiamente lo sviluppo della teologia cattolica.

 

[1] Nei suoi scritti di epistemologia P. Liberatore utilizzò san Tommaso per confutare le teorie di Locke, Kant, Spinoza, e gli scritti di Rosmini. Ebbe un ammiratore entusiasta in Andrew O’Langlin, rettore del Collegio Inglese, che organizzò l’erezione di un busto di marmo in suo onore, opera di Giulio Fasoli, oggi collocata di fronte alla cappella degli studenti del palazzo Lucchesi.

[2] «Sulla Pontificia Università Gregoriana che è alla nostra presenza, a cui non abbiamo mai dedicato leggere cure e attenzioni, siamo lieti che i nostri desideri ed ordini siano stati pienamente esauditi, i quali vediamo infatti nel gran numero di studenti e nella reputazione del insegnamento retto e fiorente, cui frutti non saranno di certo degni delle nostre mire ovunque la dottrina non sia impartita da coloro ai quali guidi il medesimo spirito ed incoraggino gli stessi studi».

[3] «Il modernismo non è una scuola, è una disposizione dell’animo, per cui si vuole contrapporre il culto dell’io all’autorità gerarchica della Chiesa […] che parte dallo stesso principio e tende allo stesso fine, sia che si tratti della interpretazione dei libri sacri, sia che si riferisca ad un’azione da svolgersi sul terreno economico-sociale [...] funesto principio di non voler riconoscere ed accettare l’autorità della Chiesa, se non in quanto sia compatibile colla supremazia e coll’inviolabilità del giudizio e della coscienza individuali» (L’Osservatore romano,14 luglio 1907).