Il giubileo ignaziano, opportunità per la Gregoriana

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JOHAN VERSCHUEREN, S.I. | Delegato del Preposito generale della Compagnia di Gesù per le Case interprovinciali dei gesuiti a Roma

di JOHAN VERSCHUEREN, S.I.

Delegato del Preposito generale della Compagnia di Gesù per le Case interprovinciali dei gesuiti a Roma

Nel suo intervento per l'apertura dell'Anno Ignaziano
- che riproponiamo qui integralmente - il P. Delegato
invita a considerare alla luce della conversione,
individuale e comunitaria, il processo di integrazione
del Pontificio Istituto Orientale e del Pontificio Istituto Biblico
nella Gregoriana, per costruire una università
nello spirito della
Veritatis gaudium.

Eminenze Reverendissime,

Carissimo padre Nuno e, con te, tutte le autorità accademiche della Pontificia Università Gregoriana,

Stimatissimi professori e professoresse, studenti e studentesse qui presenti,

Carissimi confratelli gesuiti e quanti siete qui, in presenza o attraverso la diretta streaming, condividendo con noi la gioia di questo evento che apre per noi l’Anno Ignaziano;

Voglio ringraziare innanzi tutto padre Pavulraj, Preside dell’Istituto di Spiritualità, Padre Jaime Emilio e tutti gli organizzatori di questo evento per avermi chiesto di condividere con voi qualche mia riflessione sull’importanza di celebrare il giubileo ignaziano per la Pontificia Università Gregoriana, a partire dalla mia posizione di Delegato del Padre Generale per le case internazionali di Roma.

Cinquecento anni sono un numero troppo bello per non celebrare. Si celebrano normalmente giubilei nell’anniversario della nascita, della morte, della fondazione di un’istituzione o di un ordine religioso. Ma questo giubileo è diverso. Celebriamo infatti un evento molto particolare avvenuto a Ignazio di Loyola: questo Anno giubilare riguarda la sua conversione. Il 20 maggio 1521, infatti Ignazio venne ferito alla gamba, punto di inizio di quell’esperienza da cui “tutto gli appariva come nuovo” (Autobiografia 30).

Sappiamo che il concetto di conversione evoca per un cristiano una dinamica che non può essere separata da Cristo. La dinamica spirituale che caratterizza la “conversione” cristiana coinvolge diversi “attori”. Mi piace vedere questa dinamica come un trittico, come una relazione di tre componenti.

  • È prima di tutto un dono dato a noi. Un dono di Dio dato a noi umani. E spesso lo si avverte come un invito a un aggiornamento della propria vita, con la consapevolezza che va a toccare qualcosa che era imperfetto o addirittura sbagliato. Spesso è accompagnato dall’esperienza del perdono (dono e perdono).
  • In secondo luogo, esige da noi una risposta. Occorre che noi accettiamo il dono e, quindi il perdono. Un dono che - si spera - accettiamo e abbracciamo in tutta libertà, anche se la nostra storia personale e collettiva ci insegna che non è sempre facile. Dopo tutto, Dio rispetta la nostra libertà! Quindi la conversione è sempre anche una resa al riconoscerci bisognosi, non autosufficienti (un abbandono).
  • E infine, l’abbandono a ciò che Dio ci dà, l’abbandono al dono, porta anche a un cambiamento concreto: ci mette in cammino. A volte letteralmente: il cammino del pellegrino. La conversione, quindi, implica sempre un compito. Il dono di Dio, una volta accettato, ci mette in cammino su una nuova strada.

L’importanza di questo anno giubilare per la Pontificia Università Gregoriana può essere ricercata alla luce di questa dinamica multipla. Alla luce dei grandi movimenti della nostra Chiesa contemporanea, vorrei proporvi alcuni punti in cui voi come università potete dare un contributo costruttivo in questo nostro tempo speciale, l’anno Domini 2021.

Permettetemi di iniziare con due esempi recenti di cambiamento collettivo.

Come sapete, vengo dalla regione gesuita dei Paesi Bassi. La parte meridionale di questa regione, le Fiandre, è tradizionalmente cattolica. La parte nord-occidentale, l’Olanda, è tradizionalmente calvinista. I calvinisti erano profondamente anti-papisti e i gesuiti sono stati i loro formidabili nemici per secoli. Nel XX secolo la distensione si è stabilita gradualmente e si è sviluppata una cauta comprensione ecumenica. Abbiamo riconosciuto reciprocamente l’unico battesimo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e questa accoglienza reciproca ha formato uno stretto ponte teologico e spirituale tra le due comunità di fede. Dieci anni fa è successo qualcosa di straordinario. La Evangelical Broadcasting Company, la televisione calvinista, ha organizzato un reality show chiamato “Alla ricerca di Dio” con famosi personaggi olandesi che si sono impegnati a ritirarsi per una settimana nel silenzio di un monastero ecumenico alla ricerca di Dio.

I produttori televisivi, tuttavia, avevano un grosso problema. Mancava loro un metodo per questo tipo di ritiro spirituale. Attraverso il passaparola si sono imbattuti nella nostra squadra di gesuiti di Amsterdam che erano disposti ad aiutarli. Inaudito: gesuiti che aiutano un reality show calvinista. La serie è stata un successo, specialmente negli ambienti strettamente riformati, perché si è scoperto inaspettatamente e improvvisamente un nuovo modo di trattare la Scrittura, secondo il metodo dato da Ignazio negli Esercizi Spirituali.

Come è noto, le comunità religiose calviniste hanno una struttura sociale molto rigida, con un grande livello di controllo sociale, aiutandosi a vicenda per rimanere sulla strada giusta. La rettitudine visibile di un membro della comunità, nella comunità, è il segno che è salvato. E la persona in questione ha bisogno di sapere se è stata redenta attraverso un’esperienza spirituale personale con Cristo confermata dalla comunità. Se questa conferma non arriva, è un problema serio. Gli Esercizi Spirituali hanno improvvisamente fornito loro un metodo per costruire una relazione personale con Cristo che consente loro di sperimentare quella stretta relazione personale con Cristo. Allo stesso tempo, non si chiede loro di cambiare la propria comprensione confessionale, ma la loro vocazione cristiana viene rinnovata così come la loro esperienza della vitalità delle scritture. I nostri fratelli gesuiti ad Amsterdam sono ora molto richiesti (per non dire troppo richiesti) dalle comunità religiose calviniste per essere aiutate in questo. Si assiste così un vero movimento di conversione da un’esperienza comunitaria di fede strettamente unilaterale a una condivisione aperta arricchita dalla spirituàlità cattolica, un tempo tipica della Controriforma: il singolo come capax Dei. Cioè lo sviluppo ottimistico di una relazione personale con Cristo. Un’evoluzione dall’esperienza collettiva a un’esperienza più personale.

È imprudente affermare che nell’ordine dei gesuiti oggi è in atto una conversione inversa, nell’altra direzione, dal personale al collettivo? Possiamo dire che stiamo assistendo al passaggio da un’esperienza di fede molto personalizzata (fino a rasentare forse l’individualismo) del singolo gesuita all’esperienza di fede vissuta nella comunità. Qui vi propongo il mio secondo esempio. Più di venticinque anni fa, il padre generale Kolvenbach, attraverso un’interrogazione molto ampia nella Compagnia, chiese se il discernimento comunitario degli spiriti potesse essere considerato parte del nostro modo de proceder, cioè il tipico modo di agire dei gesuiti. Ha scritto un documento magistrale, con la conclusione finale che la Compagnia non era pronta per questo.

Vent’anni dopo, ecco la Trentaseiesima Congregazione Generale (36° CG). Ad un certo punto si arrivò ad un’impasse. Ne siamo usciti, attraverso l’applicazione della conversazione spirituale, una componente chiave in ogni processo di discernimento comune. La Congregazione si è umiliata e ha riconosciuto in essa l’azione dello Spirito, suo malgrado. E quasi all’unanimità ha adottato questo metodo come una nuova componente del suo “modo di procedere”, del suo modo stesso di governo. Di conseguenza, non deve sorprendere che padre Arturo Sosa, il nostro attuale Superiore Generale, promuova questo metodo spirituale. L’Ordine dei Gesuiti sta passando così da una relazione con Cristo individuale a una relazione con Cristo comunitaria nella sua ampiezza. Cioè un movimento da un’esperienza personale a un’esperienza collettiva.

Cosa voglio proporvi attraverso questi due esempi? Qualunque sia il punto di partenza, individualistico o collettivistico, c’è stato spazio per un cammino di conversione. E si è scoperto che ciò che credevamo troppo diverso da noi, troppo lontano da noi, si rivela il migliore strumento scelto da Dio per la nostra conversione.

La nostra esperienza di relazione personale con Cristo, tipica degli Esercizi, sta aiutando la comunità calvinista olandese. Potrebbe allora essere che ciò che i calvinisti hanno vissuto in modo troppo ristretto, il senso di comunità in cui ogni persona si preoccupa della salvezza in Cristo dell’altro, sia proprio quello cui siamo invitati ad approfondire oggi nella Chiesa cattolica? Una maggiore preoccupazione per la comunità, in modo inclusivo, costruendo ponti tra gli apparenti opposti, sempre in pericolo di dimenticare di cosa si tratta veramente: formare il corpo di Cristo e la comunione dei santi. E quindi meno preoccupati della “mia” salvezza, o della “tua” salvezza in Cristo, ci possiamo incamminare a contemplare la “nostra” salvezza in Cristo? Potrebbe essere che le attuali tensioni tra l’approccio teologico tradizionale della Chiesa cattolica romana alle grandi questioni contemporanee e la morale cristiana che ne deriva, e l’approccio pastorale evangelico alle stesse grandi questioni e la prassi che ne deriva, possano essere armoniosamente riconciliate attraverso l’approfondimento e l’elaborazione di un modello sinodale di Chiesa? La conversione ci aspetta certamente in questa zona di tensione.

Abbiamo spesso la buona abitudine di pregare per l’unità nella Chiesa e tra i cristiani. Lo abbiamo fatto così spesso nei Paesi Bassi. Il Signore risponde alla nostra preghiera? Sì, lo fa. Ma la nostra esperienza, e quella di tanti altri, è che ciò che domandiamo a Dio spesso arriva in un modo che non ci aspettiamo. Il Signore non segue le nostre vie, ci mostra l’unità in modi che non rientravano neppur lontanamente nelle nostre aspettative.

Ma vorrei aggiungere anche una domanda speciale che nasce dalla peculiarità della nostra Istituzione che oggi si vuole interrogare sul senso del Giubileo per lei. Se la Gregoriana vuole trovare il suo interesse specifico in questo evento, è necessaria una buona comprensione di ciò che significa “conversione”. Se il termine italiano evoca una modificazione di tipo spaziale (per noi cristiani un ripetuto o rinnovato volgersi verso Cristo), il termine greco “metanoia” evoca piuttosto un cambiamento del nous, della mentalità. E qui si può innestare il proprium per l’Università di questo Giubileo.

La nostra università deve saper anche guardare a se stessa e alla sua mentalità in questo movimento di rinnovamento. E le opportunità per farlo sono lì per essere colte. Essere aperti oggi alla sinodalità e alla riconciliazione nella Chiesa non sarà un’opera umana in questo senso, ma un’opera di Dio. La conversione infatti è primariamente un dono. Tutto quello che dobbiamo fare è aprirci ad esso. Osare riceverlo e fare il cammino insieme sun hodos. Spero e prego che la spiritualità ignaziana e la sua riscoperta della conversazione spirituale come parte del discernimento comunitario possano essere un contributo significativo per questi tempi e in questo mondo. Ma questo coinvolge intimamente anche noi.

Non deve sorprendere, per esempio, che la commissione preparatoria che sta considerando la visione per l’università unificata che nascerà dall’integrazione del Pontificio Istituto Orientale e del Pontificio Istituto Biblico nella Pontificia Università Gregoriana, stia già attribuendo particolare importanza a un futuro impegno istituzionale che valorizzi varie forme di cooperazione in senso lato. Interdisciplinarità, inter-culturalità, inter-nazionalità e persino inter-confessionalità. Qui si trova una grande opportunità e sfida per costruire un’università nello spirito della Veritatis Gaudium. Ecco dove nuovi paradigmi della mentalità sono in attesa di essere recepiti.

Siamo così invitati alla fiducia e alla speranza, e come università pontificia, con una grande facoltà di teologia, siamo sfidati a impegnarci in questo, con un convinto sostegno alla cooperazione innanzi tutto con le sue numerose altre facoltà, istituti e centri. L’importanza per la nostra Università del Cinquecentesimo anniversario della prima conversione di Ignazio (che avvia quel processo poi proseguito a Manresa e a Venezia) è dunque duplice: acquisire una comprensione intellettuale più profonda di ciò che è la conversione (individuale e comunitaria) e di ciò che possono significare per noi la sinodalità e la cooperazione. Che non si limiti al livello della comprensione cerebrale, o del fare teologia dottrinale, anche se questo è disperatamente necessario. Siamo tutti invitati, come comunità accademica, a stare in questo movimento di conversione. Che il Signore ci benedica e ci incoraggi a farlo.

Grazie.