Roberto Bellarmino: gesuita, intellettuale e santo

Condividi:
MASSIMO CARLO GIANNINI | Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa

di MASSIMO CARLO GIANNINI

Facoltà di Storia e Beni Culturali della Chiesa

Dal 17 al 19 novembre 2021, la Gregoriana organizza

un convegno su san Roberto Bellarmino, suo patrono,

del quale ricorre il IV centenario della morte. Tracciamo

qui alcuni tratti di un personaggio complesso,

vissuto in un momento storico complicato

Il 17 settembre 2021 cadrà il quattrocentesimo anniversario della morte di Roberto Bellarmino: figura notissima all’interno della Compagnia di Gesù, molto nota tra i docenti e gli studenti della Pontificia Università Gregoriana, di cui è patrono, e, più in generale, nel mondo degli studiosi, ma - è giusto riconoscerlo - assai poco conosciuta dal grande pubblico. Il quadricentenario offre dunque l’occasione per ripensare una personalità di primo piano della Chiesa cattolica fra Cinque e Seicento. Il suo contributo alla storia del pensiero, alla teologia e alle vicende politiche e religiose del suo tempo è stato infatti assunto a simbolo della Controriforma, epoca segnata dalle aspre controversie intellettuali - oltre che dalla violenza - fra modi giudicati allora del tutto inconciliabili di pensare la fede cristiana e, più in generale, la realtà.

Un santo messo all’Indice

Partiamo dalla fine: contrariamente a quel che si potrebbe credere il suo processo di canonizzazione non fu né breve né lineare. Avviato nel 1622, all’indomani della sua morte, esso si concluse solo nel 1923 con la beatificazione e nel 1930 con la canonizzazione, cui seguì la proclamazione a dottore della Chiesa (1931). Nel mezzo vi furono tre secoli di discussioni, anche aspre, e di silenzi pesanti. In effetti Bellarmino non è un personaggio di semplice decifrazione, al di là degli schemi agiografici. Celebrarlo in quest’anno particolarmente difficile significa anzitutto riconoscere non solo il suo spessore di intellettuale e teologo, ma anche la complessità del personaggio storico in un’età contrassegnata da duri conflitti e polemiche in cui politica e religione si fondevano inestricabilmente.

Del resto la stessa principale opera teologica, frutto delle lezioni di Bellarmino nel Collegio Romano, le Disputationes de controversiis Christianae fidei adversus huius temporis haereticos (Ingolstadt, D. Sartorius, 1586-1593) se da un lato conobbe un enorme successo, dall’altro fu oggetto di severe critiche che spinsero papa Sisto V a ordinare di porla all’Indice perché la teoria del gesuita circa la potestas indirecta del pontefice contrastava la tradizionale dottrina della potestà diretta pontificia sul mondo. Solo la morte di Sisto V impedì che Bellarmino fosse dunque condannato.

Una figura criticata, difesa, ma ancora poco studiata

Dopo l’ascesa al soglio papale di Clemente VIII, il gesuita ne divenne stretto consigliere in materia teologica e dunque politica, dato che molte e delicate questioni vedevano tali ambiti - che oggi consideriamo distinti - inestricabilmente mescolati. Fu lo stesso pontefice a creare cardinale Bellarmino nel marzo 1599. Tuttavia di lì a poco la controversia de auxiliis, circa i modi di intervento della grazia divina che divampava fra domenicani e gesuiti, vide incrinarsi i rapporti tra Clemente VIII e Bellarmino, che fu creato arcivescovo di Capua e inviato nella sua diocesi (1602).

Solo con i conclavi del 1605 e l’ascesa al soglio papale di Paolo V, il cardinale ritornò a Roma, dove godette negli anni successivi di notevole credito presso il pontefice e continuò a vivere modestamente nel Collegio Romano. Ciò non impedì a Bellarmino di essere un protagonista di primo piano sulla scena europea delle principali controversie teologiche, intellettuali, politiche e religiose del suo tempo: famose sono le sue polemiche con Giacomo I Stuart circa l’obbligo imposto ai cattolici inglesi di giurare fedeltà al sovrano e quella con il frate servita Paolo Sarpi durante la contesa dell’Interdetto con la Repubblica di Venezia (1606-1607).

Proprio il ruolo di principale teologo del cattolicesimo romano ha contribuito senza dubbio a rendere il gesuita l’oggetto ora di critiche feroci, ora di apologie appassionate, sottraendo così la sua figura all’analisi storica che, solo in anni recenti, studiosi come Franco Motta hanno felicemente ripreso. Molto però resta ancora da scoprire e da dire su un personaggio così fondamentale per la cultura e per il cattolicesimo fra Cinque e Seicento.