Amministrazione: un servizio tra leadership e management

Intervista a P. Lino Dan S.I., Vice Rettore Amministrativo

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Paolo Pegoraro | Direttore Editoriale

di Paolo Pegoraro

Direttore Editoriale

L’amministrazione di una realtà complessa come quella
dell’Università Gregoriana presuppone competenze specifiche e concrete,
che sembrano non avere attinenza con la formazione teologica e pastorale.
I temi dell’amministrazione divengono invece sempre più centrali
per offrire la testimonianza eloquente dell’esempio
nella gestione dei beni e delle relazioni umane

«Sopravvissi grazie a Dio». P. Lino Dan è telegrafico quando racconta la notte del terremoto che lo sorprese a L’Aquila, il 6 aprile 2009, dove era stato Rettore del Collegio Universitario. «La mia stanza resistette, altre no. Però ero solo in comunità, e tra noi non ci furono vittime». Già direttore tecnico a Radio Vaticana, e in seguito superiore e parroco del Centro San Fedele a Milano, P. Dan è Vice Rettore Amministrativo della Gregoriana dal 2016. Complice di questi compiti anche la sua formazione in Ingegneria Elettronica e un’esperienza lavorativa molto concreta nell’industria metalmeccanica. «Già durante gli anni della formazione mi venivano affidati compiti di organizzazione e di gestione», osserva. «Il mio approccio è sempre anche un po’ operativo, però mi piace fare anche riflessione speculativa, se capita». Tra le sue grandi passioni: la matematica, la fisica, e la Bibbia. All’inizio del suo terzo mandato all’amministrazione della Gregoriana, abbiamo voluto riflettere su come questo compito si integri con la missione accademica.
«L’amministrazione è la missione per la quale sono stato inviato qui», spiega P. Dan, «ma non viene meno il desiderio di lavoro pastorale. Mi rendo conto che questi ruoli non fanno bene per la vita intera, perché si rischia di attaccarsi nostro malgrado a ciò che gestiamo, o a come lo gestiamo, o si instaurano rapporti di affiliazione. Trovo molto sano che nella Compagnia di Gesù questi mandati siano triennali, rinnovabili per due volte, e solo in casi eccezionali per tre. Certo, è un lavoro complesso, e non nascondo che per comprendere bene le diverse problematiche amministrative, legali e finanziarie mi sono stati necessari i primi due anni».

Qual è il ruolo di un “amministratore” universitario? È solo una “spiacevole necessità”, oppure è un servizio che ha qualcosa da ricordare all’ambito accademico?
«L’amministrazione è un servizio finalizzato al corretto funzionamento dell’università, sia nella gestione del personale, sia nella gestione delle sue infrastrutture.
Per quanto riguarda la gestione del personale, oltre alla correttezza e alla giustizia, il servizio dell’amministrazione ci ricorda che le relazioni devono rispettare i livelli di correttezza e di sensibilità nei rapporti. Credo sia parte del magis – il “di più” – che la formazione sacerdotale gesuitica richiede: abbiamo davanti persone, prima ancora che dipendenti.
Per quanto riguarda le infrastrutture, un edificio storico nel cuore di Roma richiede continui adeguamenti. Pensiamo ad esempio al rifacimento dell’impianto antifulmine: un intervento invisibile alla maggior parte della nostra comunità, ma fondamentale per la salvaguardia delle strutture informatiche, necessarie per lo svolgersi della vita universitaria quotidiana».

 

Dunque non basta avere i migliori professori e i migliori studenti?
«No. Puoi avere ottimi professori, ottimi studenti, ma se chi gestisce le questioni finanziarie o del personale non docente non riesce ad entrare nell’ottica propria di questo servizio, si creano dei conflitti».

Anche se non è azienda, l’università deve prendere in considerazione parametri aziendali, pur senza assolutizzarne il valore. Come viene garantita la correttezza della gestione finanziaria?
«I nostri bilanci consuntivi vengono controllati e certificati. Non scriviamo quello che vogliamo, ma ci avvaliamo dell’ottica esterna delle società di certificazione. La società viene da noi incaricata con un contratto, in genere triennale, e cambiata ogni sei anni. Ernst &Young, Pricewaterhouse Coopers, Fidital. Non vogliamo creare legami troppo stretti con alcuno. Tra dicembre e gennaio vengono inviati qui i revisori junior per un periodo di tempo – in genere un paio di settimane – nelle quali verificano il bilancio consuntivo dell’anno precedente (1° ottobre – 30 settembre). L’economato mette a loro disposizione i movimenti in entrata e in uscita. Se nel bilancio si individuano degli scostamenti, si cercano le debite coperture. Infine viene preparata la certificazione del bilancio secondo i criteri contabili delle leggi fiscali internazionali vigenti. È fondamentale per noi, ed è un atto dovuto verso tanti benefattori che posso verificare il corretto utilizzo delle loro donazioni. Devo dire che fino ad ora nessuno ci ha fatto problemi: sia che terminassero con un deficit, o con un superavit, i nostri bilanci sono corretti. E questo, a onore dell’istituzione».

Purtroppo la mala gestione nella Chiesa ha portato alla svendita o sparizione di ingenti patrimoni di diocesi e ordini religiosi. Bisognerebbe ripensare la nozione di “governo/management” nella formazione?
«Per fare un esempio concreto, quando un prete diocesano è nominato parroco, diventa pure il rappresentante legale della parrocchia, si assume cioè una responsabilità civile e penale di quanto vi avviene. Diventa inevitabilmente anche un amministratore. Lo stesso si può dire per tanti ordini religiosi il cui numero di membri si va contraendo e le responsabilità concentrando. Molti sacerdoti non sanno nulla di temi gestionali, e si affidano a laici per lo più animati da buone intenzioni, tra i quali capita però anche il dilettante, o il predatore. La situazione non è infrequente neppure tra ordini religiosi, sia femminili che maschili. Ma quando avviene un’evasione fiscale che supera una determinata soglia è per il rappresentante legale – quindi il parroco, il superiore o la superiora – che si configura il reato penale. Ci sono poi i casi di parroci o religiosi che lasciano alle proprie spalle enormi buchi finanziari, condizionando per anni la vita di chi li segue e delle loro comunità».

Non sarebbe necessario integrare lo studio con qualche corso generale – ma obbligatorio – in ambito gestionale? Diversamente, non si rischia l’angolo cieco di una certa ingenuità (“non era mio compito saperlo”)?
«È un problema serio. In passato c’era una sensibilità che permetteva al prete molto, talvolta perfino troppo, e giustamente oggi non è più così. Anche per questo abbiamo deciso di offrire un modulo breve – ma obbligatorio – sui temi del safeguarding e della dignità umana. Non è qualcosa di estraneo alla missione sacerdotale, così come non lo sarebbe un corso introduttivo alla gestione delle attività economiche e finanziarie. E questo non per trasformare i sacerdoti in burocrati, ma perché la spiritualità è qualcosa di molto incarnata e tutt’altro che astratta. Si tratta, oltretutto, di una formazione concreta alla responsabilità personale, perché prepara a gestire beni che non sono nostri. Anche a costo di fare un corso di teologia in meno».

Naturalmente non si può essere esperti in tutti i settori. Spesso prendere delle decisioni richiede il filtro preventivo fatto da consulenti tecnici. Come si scelgono buoni collaboratori?
«Credo che l’importante sia capire il profilo della persona di cui hai bisogno, e poi cercare di averne almeno due o tre tra le quali scegliere. Poi ci sono ambiti diversi. Dal punto di vista legale, la Gregoriana è un ente così speciale – essendo collegato alla Santa Sede e facente parte del Trattato lateranense, ma operante in Italia – da richiedere competenze molto specifiche. Cosa che non avviene, invece, per le revisioni di bilancio. Per altre questioni più tecniche mi affido alle scelte dei capi ufficio e dei collaboratori più stretti, che posseggono le competenze più specifiche».

I beni più preziosi, ma anche fragili e difficili da amministrare, sono quelli relazionali, ovvero le “risorse umane”. Papa Francesco vi dedicò un ampio e inedito spazio nel suo discorso alla Gregoriana (10 aprile 2014). Quali caratteristiche sono richieste?
«Per noi è fondamentale la capacità di relazionarsi con gli altri colleghi, di essere collaborativi e di lavorare in squadra. Non è questione di essere più o meno estroversi, ma di non essere competitivi in maniera deleteria, facendosi attorno terra bruciata. Anche per chi svolge compiti di affiancamento, come le segreterie dei decanati, è necessario un ottimo livello di interazione. Poi correttezza, giustizia, attenzione al luogo dove sei: un ambiente non solo cattolico, ma ecclesiale. Abbiamo già parlato del corso di safeguarding, ma anche ai dipendenti viene offerto ogni tre anni un corso sulla correttezza delle relazioni. Si cercano persone che abbiano un tratto umano e di competenza che permetta loro di lavorare insieme, e anche per questo cerchiamo di favorire le relazioni con alcuni momenti comuni (Messa e pranzo di Natale, Gita di Pasqua). È vero che sempre più ruoli vengono affidati a laici, ma che tipo di laici? Per alcuni ruoli bisogna che si sentano parte della spiritualità ignaziana, perché l’ottica aziendale – pur necessaria – non è sufficiente. E quando le vicende personali e familiari portano talvolta a vivere situazioni che non erano facilmente immaginabili a priori, si cerca di venirsi incontro. Tra noi insegnano anche alcuni non cattolici. Ma il mondo della spiritualità ignaziana non è un mondo esclusivo».