Piano strategico: cos'è, come si legge

Intervista al Prof. Francesco Cesareo, Consulente esterno per la formulazione del Piano Strategico

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Paolo Pegoraro | Direttore Editoriale

di Paolo Pegoraro

Direttore Editoriale

La formulazione del Piano Strategico, con l’individuazione delle priorità
e degli obiettivi specifici, è avvenuta attraverso un lungo processo
di consultazioni. Ne parliamo con il Prof. Cesareo, Consulente esterno
che ha affiancato la Gregoriana in questo compito complesso.
Il Piano strategico è una grande opportunità che coniuga
consapevolezza dei cambiamenti e radicamento nella tradizione ignaziana.

In seguito alla visita della Commissione esterna dell’AVEPRO e alla consegna del suo Rapporto, la Pontificia Università Gregoriana ha avviato la successiva fase per la formulazione del proprio Piano strategico, individuando le priorità generali e gli obiettivi specifici da raggiungere nei prossimi 5 anni. Per accompagnare questa complessa pianificazione, la Gregoriana ha nominato consulente esterno il Prof. Francesco Cesareo che, come ex Rettore dell’Università dell’Assunzione (Massachusetts, USA), ha maturato una solida esperienza di 15 anni in questo ambito. Nel corso delle sue visite alla Gregoriana, il Prof. Cesareo ha partecipato a incontri organizzati per identificare le priorità ritenute indispensabili ed ha ascoltato le diverse componenti della nostra comunità. «Questo è un momento di opportunità per l’università», ci spiega, «ed è il momento di immaginare la Gregoriana in un modo nuovo: sempre radicata nella tradizione ignaziana, con la visione e missione che le sono proprie, ma rendendosi conto che il mondo accademico sta cambiando».

Il Piano strategico è un processo complesso e continuo. Come va inteso?
«Il Piano strategico è un piano globale, che indica la direzione all’università nel suo insieme, ma va poi attuato nelle singole unità e dai vari membri. Ogni unità accademica e amministrativa dovrà chiedersi come poter incarnare nel proprio campo le quattro Priorità generali che sono state individuate. Pur essendo specifico, il Piano strategico non è prescrittivo, nel senso che non è una struttura rigida. È un documento vivo, e ci non mancheranno le occasioni di continuare a discutere e immaginare come attuarlo. Dovrà evolversi, anche nel corso della sua fase di implementazione».

 

 

Questo non è il primo Piano strategico formulato dalla Gregoriana. Trova che sia stato elaborato in maniera diversa dal passato?
«La mia impressione è che ci sia stato maggiore coinvolgimento e comunicazione. Il processo di elaborazione deve essere collaborativo, in modo che il Piano strategico non venga percepito come qualcosa di calato dall’alto, ma che è nato dal lavoro di tutti. Bene, ci sono state oltre 40 riunioni a diversi livelli; sono stati consultati diversi organi collegiali e personali. Sono stato molto contento della partecipazione: non solo dei gruppi di lavoro, ma pure di molti che sono venuti a parlarmi individualmente. Molte volte, una persona vuole solo essere ascoltata, anche se non tutto potrà essere ripreso nel Piano. Ciò significa che ogni membro dell’università deve avere l’opportunità di esprimere le sue opinioni, suggerimenti, idee, esperienze del settore di provenienza. Se tutti sono invitati a partecipare, non solo sarà migliore lo sviluppo del Piano strategico, quanto più la sua implementazione da parte di ogni settore. Ognuno, qui alla Gregoriana, ha il suo ruolo per migliorare l’università».

Il cambiamento può generare eccitazione, ma anche paura. Cosa ha riscontrato?
«C’è entusiasmo, c’è desiderio di migliorare la Gregoriana, consapevoli che è un tesoro ricco, e che può essere condiviso di più all’esterno. Cambiano gli studenti, il numero dei gesuiti diminuisce: c’è consapevolezza che i cambiamenti devono essere fatti per il bene dell’università del futuro.
E c’è anche un poco di sano scetticismo. Da un lato, circa la possibilità di un cambiamento reale. Dall’altro, circa l’importanza di mantenere il carattere gesuita e il carisma ignaziano a dare la direzione all’università».

Lei ha lavorato a tre Piani strategici per le università di un ordine religioso. Quali rischi si possono incontrare?
«Alla fine degli anni Sessanta, alcune congregazioni religiose che avevano fondato delle università cattoliche negli Stati Uniti si sono distaccate dalla loro gestione, affidandole a consigli di amministrazione. Ne sono ancora gli sponsor, ma di fatto non vi esercitavano più autorità. Credo sia bene imparare da queste esperienze per non ripeterle. Se un’università è “cattolica” solo di nome, perché deve continuare a esistere?
Tuttavia qui siamo a Roma, e in un contesto ben diverso. Questa è un’università della Santa Sede, affidata ai gesuiti. Il rischio più reale è quello di non esplorare come vivere la realtà della sua identità e missione in modo collaborativo e differente, rendendosi conto che molte cose sono cambiate».

In effetti la Gregoriana porta sulle spalle un capitale storico e simbolico unico al mondo. È un peso che la immobilizza, o un cannocchiale per scrutare l’orizzonte?
«Un’istituzione, per esistere anche nel futuro, deve saper cambiare, e infatti i gesuiti sono cambiati in questi 500 anni, come pure il Collegio Romano. Diversamente si diviene un museo che suscita grandissima ammirazione, ma che è incapace di influire sugli studenti, sulla società e in fin dei conti sulla Chiesa stessa. Il presente deve capire il passato e il passato deve influire sul futuro, senza ripeterlo pedissequamente. Rinnovamento significa riconoscere come ciò che è più importante – identità e carisma – può essere incarnato in modo nuovo e rafforzato.
La ricchezza della Gregoriana è nella sua visione del mondo radicata in una prospettiva della fede aperta all’incontro, così da poter portare la fede e le sue domande nelle discussioni del mondo. Oggi più che mai la società ne ha bisogno. Senza una università come la Gregoriana, capace di formare la persona intellettualmente e spiritualmente a una fede che dialoga, l’intero mondo accademico diventerebbe più debole. Perciò è molto importante preservare il carisma non solo nel nome, ma riattualizzandolo».

La Gregoriana sta affrontando anche l’integrazione con il Pontificio Istituto Orientale e il Pontificio Istituto Biblico. Come si pone il Piano strategico in questo ulteriore processo?
«Anche l’integrazione è un momento di trasformazione... come immaginare la “nuova Gregoriana”? Prima di sposarsi, due persone sono indipendenti, ma poi diventano una realtà nuova, e il figlio assomiglia per alcune cose alla madre, per altre al padre, ma è indubitabilmente di entrambi. La stessa cosa avviene con l’integrazione delle istituzioni: si preservano le cose buone e importanti, e ci si distacca da quelle non più necessarie. Questo è il momento in cui esaminarsi e portare le proprie ricchezze, esperienze, identità per fare una “nuova Gregoriana” più forte e migliore di prima. In ogni caso il Piano strategico è un documento vivo, e nel momento in cui l’integrazione divenga realtà, anche il Piano strategico dovrà essere riesaminato».

In concreto, come si struttura il Piano strategico?
«Il Piano ha individuato quattro Priorità, che possiamo considerate come “macro ambiti”. In passato ho lavorato a Piani più elaborati: questo è molto compatto e realistico. Riconosce che l’ambiente accademico e la cultura universitaria sono cambiati e guarda alla loro nuova comprensione in vista di preparare gli studenti, negli anni in cui si dedicano alla loro formazione intellettuale, per il servizio futuro alla Chiesa e alla società».

Per attuare le Priorità generali, ci sono alcuni Obiettivi specifici da raggiungere (25 in totale). E per ogni obiettivo c’è un Piano di azione. Come si attuano?
«Nell’organigramma che ho proposto al Rettore vi sono alcuni piccoli gruppi di implementazione per raggiungere gli Obiettivi. Questi gruppi avranno la responsabilità di riflettere su Obiettivi e Piani di azione, per discutere come attuarli e raccomandare alle diverse strutture universitarie le azioni per portare ogni Obiettivo a realtà. Si tratta quindi di un processo collaborativo, che non può dipendere dalla buona volontà di pochi».

Sarà quindi coinvolta una parte significativa della comunità universitaria...
«Naturalmente, anche se quelli che fanno parte di questi gruppi sono membri dell’università che hanno un’esperienza che possono portare nelle discussioni per attuare questi Obiettivi. Ad esempio per la Priorità n. 1, relativa ai programmi accademici, i gruppi saranno composti soprattutto da docenti. Per quanto riguarda la Priorità n. 3, sulla crescita e diversificazione dei flussi di reddito, i gruppi saranno composti da personale dell’Economato ma anche di altri settori. Per ogni Obiettivo e relativo Piano d’azione ci sarà poi un Coordinatore, che formerà i gruppi e verificherà l’avanzamento del lavoro».