La costruzione della santità

 

Perseguito con tenacia dalla Compagnia di Gesù per trecento anni, il processo di canonizzazione di Roberto Bellarmino è uno straordinario prisma sulle cui facce si riflettono ideali, crisi e conflitti della Chiesa lungo un arco temporale che dal primo quarto del Seicento corre fino ai Patti Lateranensi.
«Pietra di Sisifo» che, spinta con fatica fin sulla cima della montagna delle procedure canoniche, per almeno tre volte è rigettata nell’abisso (la metafora si deve allo

Fig.1 - Corpo del Bellarmino esposto nell'altare a lui dedicato all'interno della chiesa di Sant'Ignazio di Roma.

pseudonimo ‘De Récalde’, firma proveniente dagli ambienti antimodernisti di monsignor Umberto Benigni), la causa del cardinale si apre all’indomani della sua morte, con l’istruzione delle procedure a Montepulciano (1622), Capua (1623) e Napoli (1625). Approdata alla Congregazione dei riti nel 1627 con speciale dispensa papale dalla verifica della fama di santità e il passaggio immediato all’inchiesta sui miracoli ex quibus probatur sanctitas, essa si arresta una prima volta già l’anno successivo in ottemperanza al decreto di Urbano VIII che impone il congelamento delle procedure per cinquant’anni dalla morte del Servo di Dio. Nel 1655, all’indomani dell’elezione, Alessandro VII ne consente la riapertura: l’analisi delle opere di Bellarmino, indispensabile all’esame dell’eroicità delle virtù, è consegnata alla Congregazione dei riti nel 1674. Nel settembre dell’anno successivo arriva il parere positivo de virtutibus dei consultori, ma ecco intervenire un secondo arresto quando nella seduta plenaria del 26 novembre 1677 sei cardinali su 17 esprimono voto negativo. Fra essi tre nomi di indiscussa autorevolezza: Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova (a sua volta beatificato nel 1761 e canonizzato nel 1960), Decio Azzolini, favorito di Cristina di Svezia, tra gli uomini politicamente più forti del sacro collegio, e Girolamo Casanate che figura tra i maggiori eruditi dell’Urbe. I loro voti saranno messi a stampa ad arricchire il vasto arsenale dei polemisti antigesuiti.
Dopo una fugace ripresa fra il 1711 e il 1719 la causa arriva di nuovo alla congregazione nel 1748, sotto gli auspici di Benedetto XIV che in materia di procedure di beatificazione e canonizzazione è, senza dubbio, indiscussa autorità (la sua monumentale opera in materia, del 1734-38, riassume secoli di esperienza della Chiesa). Nel maggio del 1753 perviene la consegna del parere favorevole sulle virtù da parte del cardinale ponente Cavalchini, ma ecco la terza interruzione dovuta al voto contrario di Angelo Maria Querini e soprattutto di Domenico Passionei, punto di riferimento del giansenismo italiano, il cui votum è messo a stampa come testo a sé nel 1761 e di nuovo l’anno successivo assieme a quelli di Barbarigo, Azzolini e Casanate. Sul nuovo stallo pesano tuttavia anche le considerazioni diplomatiche dello stesso pontefice, motivate dall’ostilità della corona francese verso la memoria del sostenitore della potestas indirecta, il cui ultimo testo di teologia politica, il De potestate papae, era stato condannato al rogo dal Parlamento di Parigi nel 1610, con l’onta evitata all’ultimo solo grazie all’intervento di Maria de’ Medici, vedova di Enrico IV.
La causa è riaperta quasi ottant’anni dopo, nel 1827, in un clima politico-religioso del tutto diverso, a valle dello scioglimento e della ricostituzione della Compagnia di Gesù, salvo fermarsi di nuovo alla Informatio sullo stato del processo. È solo nel 1918 che, finalmente, la maledizione di Sisifo è vinta. Dopo gli studi sulla teologia di Bellarmino e le grandi imprese di edizione degli scritti inediti e del carteggio prima del cardinalato compiuti dai padri De la Servière e Le Bachelet, dopo la nuova biografia di Jean-Baptiste Couderc del 1893 e gli articoli del padre Enrico Rosa sulla «Civiltà cattolica» che mettono sotto accusa, a oltre un secolo e mezzo di distanza, il votum di Passionei, la causa è reintrodotta nella Congregazione dei riti per giungere a rapida conclusione con la beatificazione nel 1923, la canonizzazione nel 1930 e la proclamazione a dottore della Chiesa nel 1931.

Franco Motta (Università degli studi di Torino)