Gli specchi del Bellarmino

Il Bellarmino rispecchiato

Fig.1 - Hieronymus Bosch, Il giardino delle delizie (fine XVI secolo), particolare.

Nell'iconografia occidentale della prima modernità lo specchio era rappresentato come un oggetto dotato di una carica moralizzante.  Spesso significava la vanitàaltre volte indicava la prudenzaIn questo secondo caso, l'agire prudente era legato a una determinata concezione del tempo: mutata questa, la valorizzazione positiva cederà il posto a una considerazione piuttosto negativa o quantomeno ambigua dello specchio. Non sono rare le raffigurazioni dello specchio convesso conosciuto come Oeil de sorcière adoperato come portafortuna o per allontanare il malocchio e usato anche da commercianti e banchieri per tenere sotto controllo i loro spazi di lavoro.  Lo specchio rimanda spesso al diavolo, così per esempio nel trittico di Hieronymus Bosch il Giardino delle delizie. L'etimologia di διαβάλλω indica attraversare, oltre che separare e gettare. A partire da questa osservazione semantica, la ribellione luciferina potrebbe essere considerata come una separazione riguardo l'unità della distinzione, vale a dire, come l'attraversamento della linea di confine che separa una parte della forma dall'altra; intendendo qui per forma la forma di una distinzione. Virgilio Malvezzi (1595-1654) in termini similari presenta la rivolta di Satana come un "tirarsi da un lato [...] e partirsi dall'uno, formando il due". Si realizza una distinzione nella misura in cui si traccia una frontiera che segna una differenza e obbliga a considerare una parte e non l'altra. L'altra parte della forma rimane nell'ombra. 
La storia potrebbe essere considerata come l'ambito disciplinare dove si dà conto delle distinzioni che, di volta in volta, sono state realizzate. L'obiettivo della ricerca quindi è riflettere su una forma (distinzione) e non su un oggetto o, nel nostro caso, su un soggetto (Roberto Bellarmino), ovvero sia, passare in rassegna le differenti distinzioni che si sono operate lungo il tempo. L'invito è entrare in una sorta di galleria degli specchi nella quale Bellarmino è stato riflesso.

[...] nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes [...]

Incedere sulle spalle di questi giganti vuol dire, approfittando dell'ambiguità della sentenza di Bernardo di Chartres, secondo l'attribuzione di Giovanni di Salisbury (Metalogicon, Lib. III, cap. 4), non solo godere di una eredità ma vedere ciò che loro non hanno visto. In questo caso, il "non visto" non pretende di rintracciare documenti finora sconosciuti che gettino nuova luce sugli eventi o sulle persone, ma essere in grado di osservare osservazioni. Occuparsi della latenza vuol dire osservare ciò che l'osservatore non è in grado di osservare, cioè, cercare di descrivere il punto cieco di ogni osservazione, palesare lo schema di differenza con il quale si osserva la realtà.

Il lavoro di ricerca monumentale di due gesuiti, Xavier-Marie Le Bachelet e Sebastian Peter Cornelis Tromp, ci ha permesso di aprire questo percorso sugli scritti di Roberto Bellarmino e sulla produzione generatasi attorno ad essi. Sono gli ultimi anelli di una serie di uomini destinati dalla Compagnia di Gesù a costruire l'identità istituzionale del cardinale gesuita. L'asse portante di questo loro ingente lavoro di ricerca è stato il processo di beatificazione e posteriormente quello di canonizzazione del Bellarmino che si sono sviluppati lungo un tortuoso cammino.

Rimandato più volte nel corso dei secoli precedenti, verso la fine dell'Ottocento il processo di canonizzazione venne nuovamente ripreso e in questa occasione la Compagnia iniziò a impegnarsi in una vera e propria campagna pubblicistica allo scopo di portarlo finalmente a compimento. Testimonianza di ciò sono la biografia di Jean Baptiste Couderc (1893) e, soprattuto le pubblicazioni di Xavier-Marie Le Bachelet, entrambe impostate secondo una metodologia di ricerca vicina al paradigma del positivismo storico ma che, allo steso tempo, non rinunciava a una impostazione providenzialistica e moralizzante della storia. Tra il 1900 e il 1925, anno della sua morte, Le Bachelet pubblicò decine di contributi di interesse bellarminiano, tra cui due importanti edizioni di fonti: Bellarmin avant son cardinalat (1911) e l'Auctuarium Bellarminianum (1912).

Dopo la morte di questo gesuita francese (1925), attivo tra la Francia e l’Inghilterra, il suo archivio di lavoro venne inviato a Roma e di lì a poco messo a disposizione di un altro confratello olandese, il p. Sebastiaan Peter Cornelis Tromp. Importante teologo e professore presso l'Università Greogoriana, anche Tromp legò una parte della sua fama di studioso alle ricerche su Bellarmino, pubblicando, tra l'altro, l'edizione in undici volumi dell'Opera oratoria del poliziano stampata tra il 1942 e il 1960.1 

Come accennato nell'Introduzione, questa mostra ha preso le sue mosse proprio dall'incontro col lavoro di Le Bachelet e Tromp di cui l'Archivio storico della Pontificia Università Gregoriana custodisce ampia testimonianza. Queste tracce documentali aprono il percorso bellarminiano. Le Bachelet, Tromp, e lo stesso Bellarmino sono osservati in questo percorso come persone. "Persona est conditio status, munus, quod quisque inter homines et in vita civili gerit." [Forcellini]. Quindi, a partire dalla disciplina storica possiamo solo considerare in che modo sono stati osservati determinati individui attraverso la forma persona, vale a dire, secondo i ruoli e le aspettative di comportamento relativi a un contesto sociale. 

Il primo percorso sarà dunque dedicato a presentare il lavoro di questi due gesuiti e a collocarlo all'interno del dibattito politico e teologico del loro tempo; tale trattazione sarà preceduta da un "capitolo" dedicato invece alle Vite del Bellarmino.