Le vite del Bellarmino

Le Vite appartengono a quella variante della scrittura classificata come agiografia, così come sarà annoverata a partire dalla fine del XIX secolo. Il racconto della Vita, per mezzo di una narrazione vivida, farà di tutto per mettere il lettore davanti a verba che equivalgono alla res. Non ci sono argomentazioni da seguire. Come Giacomo Fuligatti SJ ricorda nel suo prologo alla Vita di Roberto Bellarmino, la verità che si propone questa scrittura segue la concezione della storiografia greco-latina, come d’altronde sarà per tutta la storiografia fino al XVIII secolo, cioè quella di riscattare dall’oblio: affinché nella tomba non si seppellisca la memoria. Questa verità non si oppone alla non verità della scienza ma alla dimenticanza. Nelle Vita si tratta di intraprendere un viaggio, di seguire un invito come nel Vangelo: “Venite e vedrete”. L’intenzione non è far capire, ma far vedere.

La tassonomia dei generi storiografici, che porterà a collocare questo tipo di narrazione negli scaffali della letteratura edificante, contribuirà a creare la sensazione che in qualche luogo delle nostre biblioteche si potranno trovare anche i volumi contenenti la ‘storia certa’, che racconta senza strappi gli avvenimenti passati. La scrittura della storia del secolo XVII, legata ai principi della retorica classica, non possedeva il paradigma di una storia “scientifica”, che maturerà nel XIX secolo, risoluta a determinare la “realtà dei fatti”, operando una dissezione sopra le antiche Vite in modo da scartare gli elementi fabulosi. La nuova scrittura, anche quella biografica, nascerà dalla sottrazione, scovando degli “errori” e pretenderà di affermare il reale. Vorrà essere "scientifica", tuttavia, nuove finzioni si preparano all’orizzonte.