Con il De revolutionibus orbium coelestium (1543), all’interno di un apparato matematico sostanzialmente identico all’Almagesto (150 d. C. ca.) di Claudio Tolomeo, Niccolò Copernico introduce la novità rivoluzionaria relativa ai moti planetari. Con esso viene relegata al rango di credenza religiosa la cosmologia aristotelico-tolemaica e gli enunciati del Vecchio Testamento. Un blocco monolitico di cultura e fede viene eroso da eresie culturali e teologiche. Per la prima volta, in Occidente, diversamente dal passato e da altri contesti geografici, un particolare tipo di sapere, che tutt’oggi indichiamo col termine scienza, lega insieme teoria ed esperimento, elabora forme istituzionali proprie, linguaggi specifici, orienta le proprie scelte in un arco di valori concernenti il rispetto dei fatti e l’assenza di rilievo dell’appello a qualunque autorità; l’autonomia delle convinzioni scientifiche rispetto a quelle religiose o politiche. Nel 1609, la teoria e l’osservazione astronomica attraverso percorsi differenti, ottennero risultati che avrebbero cancellato la cosmologia tolemaica e la filosofia naturale di Aristotele.

Fig. 1 - Frontespizio del De revolutionibus orbium coelestium di Nicolò Copernico (Basilea, 1566).

Nel 1609, anno in cui Keplero stampava l’Astronomia nova dove formulava due delle tre leggi del moto dei pianeti intorno al sole, Galileo costruisce un proprio, eccezionale, strumento di osservazione, il cannocchiale. Che, collocato sul campanile di San Marco e puntato verso il cielo, genera immediatamente novità sconvolgenti. Nei soli due primi anni di esplorazioni astronomiche apparvero realtà invisibili all’occhio umano: gli ammassi stellari della Via Lattea, la luna in tutto simile alla terra e con montagne di cui fu misurata l’altezza, i quattro satelliti nominati “medicei” da Galilei e orbitanti intorno a Giove, ed altro fin dove lo strumento consentiva di osservare. Di fronte a tali acquisizioni astronomiche, nessuna teoria o autorità filosofica era in grado di resistere. Il cielo, sottratto alla fissità e incorruttibilità sancita nelle Sacre Scritture, si apriva all’indagine e alla speculazione umana. Nel 1610, Galilei pubblicava a Venezia il Sidereus nuncius, in cui descriveva tutte le sue prime scoperte che confermavano le “ipotesi” copernicane e confutavano Aristotele. Nello stesso testo annunciava la pubblicazione di un’opera più ampia e di carattere sistematico, quello che 22 anni dopo avrebbe visto la luce come Dialogo sui due massimi sistemi del mondo. Le reazioni che seguirono sono riassumibili in due filoni, quelle della comunità scientifica internazionale le cui motivazioni sono riconducibili alla Dissertatio cum Nuncio Sidereo (1610) di Keplero, dove l’astronomo ne loda sia l’impianto teorico che le osservazioni sperimentali; e quelle della vasta e variegata congerie degli “aristotelici”, tutte coagulate attorno all’accusa di lesa autorità ideologica: l’autorità della tradizione messa in discussione dalla ricerca scientifica. Il 19 aprile 1611, il cardinale Bellarmino sottopose ai gesuiti del Collegio romano un preciso quesito circa la realtà dei corpi celesti invisibili a occhio nudo, le analogie delle fasi di Venere con quelle della luna, ecc. Ottenendo da essi cauta conferma delle osservazioni galileiane. Qualche anno dopo, nel clima di accese polemiche scientifiche e teologiche, la pubblicazione del trattatello del padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini, Sopra l’opinione dei pitagorici e del Copernico (1615), in cui si sostiene l’inverosimiglianza del sistema tolemaico e, al contrario, la conciliabilità di quello copernicano con le Scritture, consente al cardinale di formulare una risposta severa, nel metodo e nei contenuti.

«Dico che mi pare che V. P. et il Signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente, come io ho sempre creduto che habbia parlato il Copernico. Perché il dire, che supposto che la terra si muova et il sole stia fermo si salvano tutte le apparenze meglio che non porre gli eccentrici e gli epicicli, è benissimo detto, e non ha pericolo nessuno e questo basta al mathematico; ma voler affermare che realmente il sole stia nel centro del mondo, e solo si rivolti in sé stesso senza correre dall’oriente all’occidente, e che la terra stia nel terzo cielo e giri con somma velocità intorno al sole, è cosa molto pericolosa non solo d’irritare tutti i filosofi e theologi scholastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante [...]». [Di casa, li 12 di Aprile 1615, il Card. Bellarmino]

La tesi qui esposta mirava a neutralizzare il ricorso di Galilei e Foscarini al principio di adattamento, per limitare l’ambito di applicazione dell’autorità del testo sacro, attraverso il principio di fedeltà letterale alle Scritture.

Con il Rinascimento si apriva un lungo processo che avrebbe portato all’affermarsi del sistema scientifico moderno basato su logiche operative peculiari. Un percorso complesso, non lineare, che agli esordi incontra una società fondata sul timore di Dio e sulla concezione ontologica del mondo, in cui il sapere della scienza è subordinato alle verità della Chiesa. La libertas philosophandi in naturalibus che i lincei chiedevano alla Chiesa e al potere politico era un obiettivo ancora lontano.

Roberta Grossi (Archivio della Società Missioni Africane)

Nota bibliografica e documentaria:

U. Baldini, Legem impone subactis: studi su filosofia e scienza dei Gesuiti in Italia: 1540-1632, Roma, Bulzoni 1992; L. Boehm, E. Raimondi (a cura di), Università, Accademie e Società scientifiche in Italia e Germania dal Cinquecento al Settecento, Bologna, Il Mulino 1981; M. Bucciantini, M. Camerota, F. Giudice (a cura di), Il caso Galileo, una rilettura storica, filosofica, teologica. Convegno Internazionale di studi. Firenze 26-30 maggio 2009, Firenze, Olschki 2011; J. L. Heilbron, Galileo. Scienziato e umanista, Torino, Einaudi 2013; P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Roma-Bari, Laterza 2011; Id., Aspetti della Rivoluzione scientifica, Napoli, Morano Editore 1971.